Marisa Gramola


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tre cose

Tre cose all'opera, dentro e fuori la scena

A - La prima cosa è il soggetto, che è la cosa più importante perché è una cosa della vita. L'arte, dice Hegel, fa il mondo una seconda volta: un pezzo di memoria, un ritaglio dell'esistenza.

L'arte è la via più aperta sulla vita, e la vita è la via più aperta sull'arte. Il legame arte/vita tiene unito l'io: questo legame più l'isolamento estetico fa stare uniti dentro e fuori, se no si corre il rischio di andare in pezzi.

B - La seconda cosa è il tono, intona la scena e dà il colore degli umori. Il bianco apre la luce, il nero la spegne, il bianco serve per vedere, il nero serve per sognare. Le loro illusioni sono assolute, insieme fanno il massimo della sublimazione. Sono anche i colori del bene e del male, così sono i colori religiosi. Il tono è la cosa dell'estasi, trasfigura.

C - La terza cosa è il modo: il quadro è quadrato, se no è un rettangolo e cioè quadrangolare, un quadrato allungato in alto o di lato. In ogni caso è internamente chiuso da tre fasce nere, due laterali una da sopra, queste chiudono a siparietto il teatrino del soggetto. In questo caso è il bianco che prende tutto lo spazio di scena e dà l'idea dell'aria e l'aria dà l'idea del mondo, se no è il nero che copre tutto e dà l'idea del nulla e in mezzo in chiaro: il soggetto. L'idea del bianco e del nero, il loro modo teatrale, a siparietto geometrico, misura il senso della vita sulla terra secondo l'illusione estetica del giorno e della notte, così di scena c'è pure il tempo.

Lessia: queste tre cose passano illusoriamente dal registro dell'immaginario a quello del simbolico e da quello del simbolico a quello del reale, giocano in mezzo ai sistemi dell'anima, in un senso e viceversa, il reale ritorna continuamente nel simbolico e questo ritorna continuamente nell'immagine dove si ferma e dove sembra solo un'immagine, il suo corpo d'uccello. Così il quadro gira, si muove e diventa il girotondo filosofico delle varie pose dell'anima, e questa si mette a volare come fanno le allodole.




Salvatore Fazia


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