demoiselles d'.
Le Signore di Quinto
"colui che è solo pittore è anche più che pittore,
perché «fa venire davanti a noi, fa avanzare rispetto alla tela fissa»,
non la somiglianza, ma la pura sensazione
«del fiore torturato, del paesaggio solcato, travagliato e compresso», restituendo
«l'acqua della pittura alla natura»"
(Deleuze-Artaud)
a) le chiavi di casa, per entrare
Le ho conosciute tutte, l'Adelina, l'Agnese, la signora Rosa, l'Esterina, l'Alda, l'Ernestina, ecc., le avete incontrate anche voi, sono riconoscibili tutte, ci appartengono, sono i volti di dentro, i visi brevettati della vita.
Le Demoiselles d'Avignon no, non erano né demoiselles né d'avignon, erano figure della mania di Picasso, che squadrava e riquadrava cose e pose: macchine della modernità, macchine d'arte.
Non queste, queste sono le signore di Quinto, o almeno lo erano, ma potevano essere di dovunque, di altrove. Le incontravo in collina, in pianura e in montagna, nella periferia veneta, e in ogni altra pianura, ogni altra collina, ogni altra montagna, negli anni cinquanta. Negli anni recenti più isolate: le ultime. Picasso credeva che bisognasse meccanizzare ogni cosa, imprimere in ogni cosa un movimento macchinico, fare a pezzi la natura, i corpi, rifare a ritagli la cronaca della vita, scorciare il tempo, accorciarlo, slittarlo secondo il movimento astratto, globale e contratto del nuovo ordine del mondo, non quello locale, fermo e lento, locale e concreto; gli dava la velocità prismatica e nuova dell'istante, il suo passo a scatti, finito tra i numeri e gli angoli del quadrante, i suoi quarti d'angolo, dentro e fuori la soglia tagliente delle lancette, i tic-tac, le sincopi, il montaggio: contro il tempo, lineare, rotondo, circolare, nell'eterno ritorno delle opere e i giorni, dove va invece questa pittura che il tempo lo ha e ne fa l'oggetto del proprio sguardo, il clima di scena, l'idea attiva e passiva della soggettività a perdere. ...
Salvatore Fazia